Plurilinguismo
Sperimentazione concordata con il ministro Giannini, dall'asilo nido fino alla maturità. Ventuno milioni per formare gli insegnanti, 15 per gli scambi con l'estero.
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Nadia Mazzardis Dom, 11/30/2014 - 13:21

E' interessante, ma vorrei porre l'accento sulla questione "insegnante di madrelingua". Ho un osservatorio privilegiato, occupandomi di formazione sull'apprendimento delle lingue non materne in età precoce, e avendo la fortuna di collaborare ad un bel progetto di Volontariato Linguistico dell'assessorato provinciale alla cultura italiana, che mette insieme italiani e tedeschi, in età adulta. Il tema si snoda su più binari. Il primo è l'insegnante di madrelingua, che prende vita come "mito" nel primo dopo guerra. Lo descrive bene David Cristal nel suo "la rivoluzione delle lingue". Gli inglesi girano l'Europa da perfetti monolingui e si inventano la didattica dell'apprendimento di una lingua straniera. La loro. E loro la sanno perfettamente. Ma si focalizzano su intonazione, fonetica, pronuncia, grammatica, ortografia. Fanno di tutto per formare gli insegnanti a frustrare i ragazzi. Noi come Alto Adige -Südtirol, acquisiamo il modello "insegnante madrelingua" che sicuramente può giovare molto, se oltre ad essere di madrelingua, la lingua la sa anche insegnare. Ed insegnare la propria madrelingua ad un non madrelingua, vuole dire avere la competenza del plurilingue. Ossia adeguare il tuo livello linguistico a quello dell'interlocutore, per farlo sentire competente e aiutarlo a migliorare (zona di sviluppo prossimale, che Vijgotsky interpreta come quel momento dell'apprendimento in cui io so fare con te -insegnante- ciò che non saprei fare da sola e che tu mi devi condurre a saper fare da sola. Lo dice bene anche il Quadro Comune Europeo a pagina 5 "è finito il modello del native speaker". Infatti Trento propone i madrelingua solo alle superiori. Noi spesso diamo un modello così alto, di lingua, fin da piccoli, che costruiamo il messaggio "tu a questo livello non arriverai mai". Quindi forse sarebbe meglio concentrarsi su di un buon insegnante, che sappia bene la lingua, ma pensare che la madrelingua non sia un must. Ciò che la scuola deve fare è non far perdere ai ragazzi la voglia e la curiosità di avere a che fare con la lingua. Noi poi, rispetto ai trentini ci portiamo dietro il consenso elettorale di una e dell'altra parte, una pressione fortissima delle famiglie. A famiglie che hanno aspettative troppo alte, spesso corrispondono risultati deludenti. Intanto al Volontariato Linguistico si iscrivono gli adulti italiani, frustrati, che dicono a fine progetto "finalmente un posto in cui sentirmi capace di parlare" (20 ore di pura conversazione, in cui la correzione non è richiesta, anzi è caldamente sconsigliata). Quanto tempo diamo mediamente nelle classi ai ragazzi per parlare in libertà questa lingua? Quanto è riservato all'insegnante per "insegnare" la lingua? Si calcola un teacher time talking del 90% e un children time talking del 10%. Pochino per poi uscire nel mondo reale e portare la lingua fuori dalle mura scolastiche, no?
Altro tema non secondario è la possibilità, che i trentini giustamente ci suggeriscono, di avere una marcia in più in territorio altoatesinsudtirolese. Quando la vogliamo mettere questa marcia? Consiglio la lettura di "Stare insieme è un arte" di Aldo Mazza e Lucio Giudiceandrea. Tra i tanti e tanti scritti prodotti sul tema, questo focalizza un punto imprescindibile. Come fare perchè i ragazzi frequentino gli stessi circuiti? Non nascondiamoci dietro al ditino, lo sappiamo bene come fare. Mettiamoli insieme in classe, copiamo la best practice della Catalunya (ad essere indietro, c'è il vantaggio di poter copiare da quelli bravi), facciamo in modo che Marco vada a giocare a calcio con Lukas, non perchè la mamma di Marco ha la fissa del tedesco, ma perchè Marco è compagno di classe di Lukas e sono diventati amici, è così che si fanno cose significative che hanno la lingua come strumento e non come fine. La lingua è come un bacio, non conta quanto è lungo, conta con chi.

Dom, 11/30/2014 - 13:21 Collegamento permanente
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Francesca Morrone Dom, 11/30/2014 - 22:39

Non ho certo le competenze in fatto di didattica della prof.ssa Mazzardis, ma da insegnante ne condivido il messaggio. E dirò di più, sembra che il tema del plurilinguismo e dell' importanza delle lingue più in generale sia sentito in modo più urgente da quelle realtà lontane geograficamente dai grandi centri cittadini. Alcune valli cercano di accorciare le distanze e di riempire un certo decentramento culturale, anche attraverso esperimenti di questo tipo.Voglio fare l' esempio della Val Venosta; qui dirigenti virtuosi e insegnanti appassionati stanno cercando di sviluppare progetti di didattica integrata o basati sullo scambio culturale con l'obiettivo di facilitare l'apprendimento linguistico. Insomma di necessità, virtù! Nella scuola dove insegno, abbiamo dato il via ad un progetto che stiamo costruendo con i nostri ragazzi " Das Sprachenkonzept" ; qui lavoriamo affinchè l'approccio alle lingue, inglese, tedesco, italiano, sia il più spontaneo possibile. Lo sforzo iniziale non basta, dobbiamo promuovere gemellaggi, ospitazioni e condivisione di momenti insieme: in classe, al cinema, a danza, a calcio.

Dom, 11/30/2014 - 22:39 Collegamento permanente