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Der letzte Satz ist aber auch a bissl übertrieben. Sicher waren damals gar einige SüdtirolerInnen, möglicherweise eine große Mehrheit, Sympathisanten des »Führers« und der Nazis. Ich glaube aber kaum, dass die Option für das sogenannte Dritte Reich sehr vielen leicht gefallen ist.
Für das Deutsche Reich haben nicht knapp 70 Prozent, sondern 86 Prozent der Südtiroler optiert. Ob die Überzeugung für das "Dritte Reich", die Ablehnung des faschistischen Regimes oder die Angst vor der Abschiebung nach Süditalien oder in die Kolonien größer war, lässt sich heute wohl kaum mehr feststellen, aber Gerhard Mumelter scheint da seine Gewissheiten zu haben - woher wohl?
Cari amici di Salto (lettura obbligatoria e doverosa per chi, è il caso di chi scrive, vive “sull’uscio” della terra che voi raccontate e rappresentate con passione e rigore non sminuibili), scopro in leggero ritardo di essere citato in un articolo di Gerhard Mumelter riguardo al libro di Ernst Lothar, “Sotto un sole diverso”, pubblicato dalle edizioni e/o e di cui ho scritto sull’Alto Adige due giorni prima del suo arrivo in libreria.
Il dibattito e la discussione - financo la polemica - sono benvenuti a casa mia (e a casa vostra pure, lo so bene). Mumelter, curiosamente omonimo della famiglia protagonista del romanzo in questione, mi descrive come un giornalista caduto in trappola nonché dedito all’assurdo per aver dedicato spazio ed attenzione alla pubblicazione dell’edizione italiana di un romanzo che negli Stati Uniti era stato pubblicato nel 1942 ed in Austria nel 1961. Rileggo l’articolo di Mumelter - che peraltro aggiunge preziose informazioni, che non conoscevo - e mi rendo convinto che proprio in quel che scrive risiede la fondatezza dell’interesse che il libro ha suscitato. Scrive Mumelter: “Ernst Lothar, famoso scrittore austriaco di origini ebraiche, l'aveva scritto negli Stati Uniti, dov'era fuggito nel 1939. E lì questo romanzo sulle vicende storiche dei sudtirolesi nel 1942 fu accolto in modo trionfale. Il New York Times lo celebrò come "opera indimenticabile". Scrittori famosi come Thornton Wilder e Francois Mauriac manifestarono il loro entusiasmo. Nei paesi anglosassoni migliaia di lettori si sono appassionati alle peripezie della famiglia bolzanina costretta a lasciare la propria Heimat e deportata dai nazisti nella città ceca di Plzen”.
Ecco, basta questo, a mio avviso, per giustificare - ma il termine mi pare incongruo, non capisco perché un editore dovrebbe simile giustificazione - la pubblicazione di un romanzo (attenzione: un romanzo, non un saggio storico) che ha la veste e lo stile di un romanzo popolare, come ho chiaramente evidenziato. Certo, sull’onda di tanta letteratura mitteleuropea - vien da dire alla Marai - evidentemente cara a molti viste le scelte di case editrici di vaglia, una su tutte: Adelphi. Questo ha mosso la mia curiosità, compagna indispensabile per chi si dedica alla passione senza fine della lettura. Perché se Mumelter ha avuto la fortuna di leggere il libro - in lingua tedesca - negli anni Sessanta altrettanto non si può dire dei lettori di lingua italiana che ora, appunto, possono approfittare dell’edizione e/o. Questo è un romanzo certamente datato, ma altrettanto certamente testimone dell’epoca. Francamente avrei persino trovato deludente che Lothar ci avesse messo mano per correggere le imprecisioni storiche che - di questo non di discute - ci sono, ma che nulla tolgono alla storia. E’ stato un best seller anomalo di dimensioni colossali, ci dice Gerhard Mumelter. Il fatto che si tratti, a suo dire, di un “romanzo infelice”, appartiene ad un giudizio - rispettabile - che un lettore italiano può farsi solo leggendolo. Il che non era, banalmente, possibile fino ad un mese fa.
Per questo ho scritto di (possibile) caso editoriale. E per questo ho citato il romanzo di Francesca Melandri che - occorre dirlo? - attinge ad altro sorgenti e nasce sessant’anni dopo.
Infine: che un romanzo sia basato sulla vicissitudini di una famiglia bolzanina (inesistente) e di una sua deportazione (inesistente) mi pare coerente con il fatto di essere, appunto, un romanzo. Se si vuole riaffrontare la vicenda delle opzioni, il ruolo dei sudtirolesi riguardo al nazismo, quel che gli italiani (e il fascismo) fecero in Alto Adige, lo si può (lo si deve) fare. Forse non a partire dal romanzo.
Quindi, “assurdamente in trappola” non mi sento, per nulla. Con stima.
Una mia recensione del libro di Ernst Lothar era già comparsa sul Corriere dell'Alto Adige il 19 gennaio. Qui sotto riporto il testo.
Come risposta a Martinelli vale quello che dico nel penultimo capoverso. È vero che un romanzo gode della libertà della finzione e non deve attenersi necessariamente alla realtà storica. Ma quando l'autore stesso presenta l'opera come frutto di approfondite ricerche storiche e ne rivendica la fedeltà ai fatti, egli sottoscrive per così dire un patto di lealtà con il lettore, che a quel punto è autorizzato e anzi tenuto a giudicare il romanzo anche sotto quel punto di vista. Se poi l'opera tradisce e deforma invece la realtà storica, come avviene palesemente nel romanzo di Lothar, ciò influenza anche il giudizio estetico che si può e si deve dare del romanzo.
Il Libro. Inesattezze e distorsioni storiche del romanzo di Lothar
Lo studioso bolzanino: «Sotto un sole diverso fu criticato già nel 1961»
Quelle Opzioni riviste
Esce in questi giorni presso la casa editrice edizioni e/o la traduzione in italiano del romanzo Sotto un sole diverso, dell’autore austriaco Ernst Lothar (traduzione di Monica Pesetti, 376 pagine, 18 euro), opera pubblicata per la prima volta in inglese nel 1943 e tradotta in lingua tedesca solo nel 1961. Il romanzo, che costituisce la prima rappresentazione letteraria delle Opzioni avvenute in Sudtirolo alla fine del 1939, conobbe bensì un grande successo al suo primo apparire in America, ma già in occasione della sua riproposizione in tedesco, esso fu oggetto di numerose critiche, nelle quali si rimarcarono le incongruenze linguistiche e le molte imprecisioni storiche in esso contenute.
Molte di queste inesattezze possono essere almeno in parte giustificate dal fatto che al momento della stesura dell’opera Lothar si trovava già da qualche anno in America, dove, a dispetto di quanto egli stesso afferma in appendice al romanzo, non aveva accesso a informazioni precise e di prima mano. Assolutamente problematica e ingiustificabile appare invece la rappresentazione che quest’opera dà delle Opzioni, perché essa costituisce una grave falsificazione storica.
Attraverso il destino della famiglia Mumelter, trasferita coartatamente a Pilsen, Lothar rappresenta infatti le Opzioni come una vera e propria deportazione di massa, durante la quale i sudtirolesi, che vengono prima perseguitati e incarcerati, poi prelevati dalle loro case di notte, trasportati in stazione tra grida e lamenti, e quindi rinchiusi in vagoni piombati simili a quelli utilizzati per le deportazioni degli ebrei, appaiono solo e unicamente come vittime del nazionalsocialismo (e almeno parzialmente anche del fascismo). A parte il fatto che questa deportazione avviene nel romanzo il 29 Agosto del 1939, quindi molto prima dell’inizio delle Opzioni vere e proprie e anche prima dell’accordo definitivo sulle modalità e sui termini del trasferimento, essa non corrisponde assolutamente alla realtà storica. Ci furono senz’altro in quell’epoca alcuni “indesiderati” che dovettero lasciare forzatamente il Sudtirolo prima del termine ultimo del 31 dicembre 1939, ma non furono le migliaia di cui parla il romanzo e ciò non avvenne assolutamente secondo le modalità narrate.
È evidente che Ernst Lothar si proponeva con il suo romanzo di sensibilizzare l’opinione pubblica americana sul destino della popolazione sudtirolese e che per raggiungere il suo scopo egli volle trasformare tutti i Sudtirolesi in vittime. Ma è noto che le cose non andarono assolutamente in questo modo e che ci furono sia vittime che ‘carnefici’ anche tra gli stessi Sudtirolesi. L’assoluta maggioranza di coloro che lasciarono il Sudtirolo lo fece di propria volontà, anche se molti di essi furono vittime della propaganda. Le vere vittime furono tuttavia spesso quelli che restarono, i “Dableiber”, fatti oggetto di continue vessazioni. Attraverso la semplificazione degli avvenimenti, il romanzo tende quindi piuttosto a nascondere la vera tragedia delle Opzioni, impedendo di vedere la spaccatura che ebbe luogo all’interno della popolazione sudtirolese e non permettendo di conoscere né il destino dei “Dableiber” né quello spesso altrettanto tragico degli “Optanten”, una volta arrivati nei luoghi di destinazione.
Per rendere più incisiva la descrizione del destino dei sudtirolesi, Lothar ha voluto inoltre mettere in parallelo il trasferimento dei sudtirolesi con le deportazioni degli ebrei, di cui aveva probabilmente sentito parlare. In questo modo, però, proprio l’ebreo austriaco Lothar ha finito per banalizzare in maniera quasi insopportabile la persecuzione e lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti.
Di fronte a tutte queste incongruenze, che potevano forse trovare una giustificazione nella versione del 1943 del romanzo, ma che già resero problematica la riproposizione dell’opera nell’edizione tedesca del 1961, non si può fare a meno di chiedersi che cosa possa aver spinto una casa editrice famosa e rinomata a tradurre l’opera in italiano nel 2016.
È evidente che la biografia dell’autore ebreo Ernst Lothar – nato nel 1890 a Brünn e morto a Vienna nel 1970, fuggito in America nel 1939, autore di numerosissimi romanzi, racconti e opere teatrali, direttore tra l’altro del “Theater in der Josefstadt” di Vienna assieme a Max Reinhardt (1935-37), poi regista al “Burgtheater” di Vienna (1948-1962) e membro della direzione dei “Festspiele” di Salisburgo (1952-1959) – dev’essere sembrata una garanzia di per sé sufficiente per riproporre il romanzo. Volendo continuare sulla scia di opere letterarie sul Sudtirolo pubblicate negli ultimi anni in Italia, a partire dal romanzo di Francesca Melandri fino ai due romanzi di Lilli Gruber, non si è ritenuto di dover guardare né alla qualità letteraria del romanzo di Ernst Lothar, che pur essendo pieno di buoni propositi e di buoni sentimenti presenta un intreccio molto artificioso e poco credibile, né tantomeno al fondamento storico dei fatti narrati.
Si potrebbe obiettare che un romanzo è per sua natura un’opera d’invenzione e che non deve per forza di cose attenersi alla verità storica. Quando tuttavia l’autore afferma di non aver inventato nulla e di essere stato solo un fedele cronista, come fa Ernst Lothar tanto nell’introduzione del romanzo che in appendice, ringraziando una serie di personaggi e di istituzioni che gli avrebbero fornito documenti e informazioni, egli stipula per così dire un contratto con il lettore, sulla base del quale egli può e deve essere poi anche giudicato. Se il giudizio risulta però negativo, perché il romanzo, come è il caso dell’opera in questione, non si limita a fornire una visione parziale e perciò anche discutibile dei fatti storici, ma li stravolge completamente, per ignoranza o in seguito a una precisa strategia, allora viene meno anche il suo valore estetico.
Probabilmente si è ritenuto dunque che questo romanzo potesse servire a gettare un po’ di luce su una tematica ancora troppo poco nota in Italia qual è la storia del Sudtirolo durante il fascismo e il nazionalsocialismo. In realtà, tuttavia, il fatto stesso che un romanzo che contiene tante inesattezze e distorsioni storiche sia stato tradotto in italiano e pubblicato, rappresenta al contrario la conferma più lampante proprio di questa mancanza di conoscenza.
Der letzte Satz ist aber auch
Der letzte Satz ist aber auch a bissl übertrieben. Sicher waren damals gar einige SüdtirolerInnen, möglicherweise eine große Mehrheit, Sympathisanten des »Führers« und der Nazis. Ich glaube aber kaum, dass die Option für das sogenannte Dritte Reich sehr vielen leicht gefallen ist.
Für das Deutsche Reich haben
Für das Deutsche Reich haben nicht knapp 70 Prozent, sondern 86 Prozent der Südtiroler optiert. Ob die Überzeugung für das "Dritte Reich", die Ablehnung des faschistischen Regimes oder die Angst vor der Abschiebung nach Süditalien oder in die Kolonien größer war, lässt sich heute wohl kaum mehr feststellen, aber Gerhard Mumelter scheint da seine Gewissheiten zu haben - woher wohl?
Cari amici di Salto (lettura
Cari amici di Salto (lettura obbligatoria e doverosa per chi, è il caso di chi scrive, vive “sull’uscio” della terra che voi raccontate e rappresentate con passione e rigore non sminuibili), scopro in leggero ritardo di essere citato in un articolo di Gerhard Mumelter riguardo al libro di Ernst Lothar, “Sotto un sole diverso”, pubblicato dalle edizioni e/o e di cui ho scritto sull’Alto Adige due giorni prima del suo arrivo in libreria.
Il dibattito e la discussione - financo la polemica - sono benvenuti a casa mia (e a casa vostra pure, lo so bene). Mumelter, curiosamente omonimo della famiglia protagonista del romanzo in questione, mi descrive come un giornalista caduto in trappola nonché dedito all’assurdo per aver dedicato spazio ed attenzione alla pubblicazione dell’edizione italiana di un romanzo che negli Stati Uniti era stato pubblicato nel 1942 ed in Austria nel 1961. Rileggo l’articolo di Mumelter - che peraltro aggiunge preziose informazioni, che non conoscevo - e mi rendo convinto che proprio in quel che scrive risiede la fondatezza dell’interesse che il libro ha suscitato. Scrive Mumelter: “Ernst Lothar, famoso scrittore austriaco di origini ebraiche, l'aveva scritto negli Stati Uniti, dov'era fuggito nel 1939. E lì questo romanzo sulle vicende storiche dei sudtirolesi nel 1942 fu accolto in modo trionfale. Il New York Times lo celebrò come "opera indimenticabile". Scrittori famosi come Thornton Wilder e Francois Mauriac manifestarono il loro entusiasmo. Nei paesi anglosassoni migliaia di lettori si sono appassionati alle peripezie della famiglia bolzanina costretta a lasciare la propria Heimat e deportata dai nazisti nella città ceca di Plzen”.
Ecco, basta questo, a mio avviso, per giustificare - ma il termine mi pare incongruo, non capisco perché un editore dovrebbe simile giustificazione - la pubblicazione di un romanzo (attenzione: un romanzo, non un saggio storico) che ha la veste e lo stile di un romanzo popolare, come ho chiaramente evidenziato. Certo, sull’onda di tanta letteratura mitteleuropea - vien da dire alla Marai - evidentemente cara a molti viste le scelte di case editrici di vaglia, una su tutte: Adelphi. Questo ha mosso la mia curiosità, compagna indispensabile per chi si dedica alla passione senza fine della lettura. Perché se Mumelter ha avuto la fortuna di leggere il libro - in lingua tedesca - negli anni Sessanta altrettanto non si può dire dei lettori di lingua italiana che ora, appunto, possono approfittare dell’edizione e/o. Questo è un romanzo certamente datato, ma altrettanto certamente testimone dell’epoca. Francamente avrei persino trovato deludente che Lothar ci avesse messo mano per correggere le imprecisioni storiche che - di questo non di discute - ci sono, ma che nulla tolgono alla storia. E’ stato un best seller anomalo di dimensioni colossali, ci dice Gerhard Mumelter. Il fatto che si tratti, a suo dire, di un “romanzo infelice”, appartiene ad un giudizio - rispettabile - che un lettore italiano può farsi solo leggendolo. Il che non era, banalmente, possibile fino ad un mese fa.
Per questo ho scritto di (possibile) caso editoriale. E per questo ho citato il romanzo di Francesca Melandri che - occorre dirlo? - attinge ad altro sorgenti e nasce sessant’anni dopo.
Infine: che un romanzo sia basato sulla vicissitudini di una famiglia bolzanina (inesistente) e di una sua deportazione (inesistente) mi pare coerente con il fatto di essere, appunto, un romanzo. Se si vuole riaffrontare la vicenda delle opzioni, il ruolo dei sudtirolesi riguardo al nazismo, quel che gli italiani (e il fascismo) fecero in Alto Adige, lo si può (lo si deve) fare. Forse non a partire dal romanzo.
Quindi, “assurdamente in trappola” non mi sento, per nulla. Con stima.
Una mia recensione del libro
Una mia recensione del libro di Ernst Lothar era già comparsa sul Corriere dell'Alto Adige il 19 gennaio. Qui sotto riporto il testo.
Come risposta a Martinelli vale quello che dico nel penultimo capoverso. È vero che un romanzo gode della libertà della finzione e non deve attenersi necessariamente alla realtà storica. Ma quando l'autore stesso presenta l'opera come frutto di approfondite ricerche storiche e ne rivendica la fedeltà ai fatti, egli sottoscrive per così dire un patto di lealtà con il lettore, che a quel punto è autorizzato e anzi tenuto a giudicare il romanzo anche sotto quel punto di vista. Se poi l'opera tradisce e deforma invece la realtà storica, come avviene palesemente nel romanzo di Lothar, ciò influenza anche il giudizio estetico che si può e si deve dare del romanzo.
Il Libro. Inesattezze e distorsioni storiche del romanzo di Lothar
Lo studioso bolzanino: «Sotto un sole diverso fu criticato già nel 1961»
Quelle Opzioni riviste
Esce in questi giorni presso la casa editrice edizioni e/o la traduzione in italiano del romanzo Sotto un sole diverso, dell’autore austriaco Ernst Lothar (traduzione di Monica Pesetti, 376 pagine, 18 euro), opera pubblicata per la prima volta in inglese nel 1943 e tradotta in lingua tedesca solo nel 1961. Il romanzo, che costituisce la prima rappresentazione letteraria delle Opzioni avvenute in Sudtirolo alla fine del 1939, conobbe bensì un grande successo al suo primo apparire in America, ma già in occasione della sua riproposizione in tedesco, esso fu oggetto di numerose critiche, nelle quali si rimarcarono le incongruenze linguistiche e le molte imprecisioni storiche in esso contenute.
Molte di queste inesattezze possono essere almeno in parte giustificate dal fatto che al momento della stesura dell’opera Lothar si trovava già da qualche anno in America, dove, a dispetto di quanto egli stesso afferma in appendice al romanzo, non aveva accesso a informazioni precise e di prima mano. Assolutamente problematica e ingiustificabile appare invece la rappresentazione che quest’opera dà delle Opzioni, perché essa costituisce una grave falsificazione storica.
Attraverso il destino della famiglia Mumelter, trasferita coartatamente a Pilsen, Lothar rappresenta infatti le Opzioni come una vera e propria deportazione di massa, durante la quale i sudtirolesi, che vengono prima perseguitati e incarcerati, poi prelevati dalle loro case di notte, trasportati in stazione tra grida e lamenti, e quindi rinchiusi in vagoni piombati simili a quelli utilizzati per le deportazioni degli ebrei, appaiono solo e unicamente come vittime del nazionalsocialismo (e almeno parzialmente anche del fascismo). A parte il fatto che questa deportazione avviene nel romanzo il 29 Agosto del 1939, quindi molto prima dell’inizio delle Opzioni vere e proprie e anche prima dell’accordo definitivo sulle modalità e sui termini del trasferimento, essa non corrisponde assolutamente alla realtà storica. Ci furono senz’altro in quell’epoca alcuni “indesiderati” che dovettero lasciare forzatamente il Sudtirolo prima del termine ultimo del 31 dicembre 1939, ma non furono le migliaia di cui parla il romanzo e ciò non avvenne assolutamente secondo le modalità narrate.
È evidente che Ernst Lothar si proponeva con il suo romanzo di sensibilizzare l’opinione pubblica americana sul destino della popolazione sudtirolese e che per raggiungere il suo scopo egli volle trasformare tutti i Sudtirolesi in vittime. Ma è noto che le cose non andarono assolutamente in questo modo e che ci furono sia vittime che ‘carnefici’ anche tra gli stessi Sudtirolesi. L’assoluta maggioranza di coloro che lasciarono il Sudtirolo lo fece di propria volontà, anche se molti di essi furono vittime della propaganda. Le vere vittime furono tuttavia spesso quelli che restarono, i “Dableiber”, fatti oggetto di continue vessazioni. Attraverso la semplificazione degli avvenimenti, il romanzo tende quindi piuttosto a nascondere la vera tragedia delle Opzioni, impedendo di vedere la spaccatura che ebbe luogo all’interno della popolazione sudtirolese e non permettendo di conoscere né il destino dei “Dableiber” né quello spesso altrettanto tragico degli “Optanten”, una volta arrivati nei luoghi di destinazione.
Per rendere più incisiva la descrizione del destino dei sudtirolesi, Lothar ha voluto inoltre mettere in parallelo il trasferimento dei sudtirolesi con le deportazioni degli ebrei, di cui aveva probabilmente sentito parlare. In questo modo, però, proprio l’ebreo austriaco Lothar ha finito per banalizzare in maniera quasi insopportabile la persecuzione e lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti.
Di fronte a tutte queste incongruenze, che potevano forse trovare una giustificazione nella versione del 1943 del romanzo, ma che già resero problematica la riproposizione dell’opera nell’edizione tedesca del 1961, non si può fare a meno di chiedersi che cosa possa aver spinto una casa editrice famosa e rinomata a tradurre l’opera in italiano nel 2016.
È evidente che la biografia dell’autore ebreo Ernst Lothar – nato nel 1890 a Brünn e morto a Vienna nel 1970, fuggito in America nel 1939, autore di numerosissimi romanzi, racconti e opere teatrali, direttore tra l’altro del “Theater in der Josefstadt” di Vienna assieme a Max Reinhardt (1935-37), poi regista al “Burgtheater” di Vienna (1948-1962) e membro della direzione dei “Festspiele” di Salisburgo (1952-1959) – dev’essere sembrata una garanzia di per sé sufficiente per riproporre il romanzo. Volendo continuare sulla scia di opere letterarie sul Sudtirolo pubblicate negli ultimi anni in Italia, a partire dal romanzo di Francesca Melandri fino ai due romanzi di Lilli Gruber, non si è ritenuto di dover guardare né alla qualità letteraria del romanzo di Ernst Lothar, che pur essendo pieno di buoni propositi e di buoni sentimenti presenta un intreccio molto artificioso e poco credibile, né tantomeno al fondamento storico dei fatti narrati.
Si potrebbe obiettare che un romanzo è per sua natura un’opera d’invenzione e che non deve per forza di cose attenersi alla verità storica. Quando tuttavia l’autore afferma di non aver inventato nulla e di essere stato solo un fedele cronista, come fa Ernst Lothar tanto nell’introduzione del romanzo che in appendice, ringraziando una serie di personaggi e di istituzioni che gli avrebbero fornito documenti e informazioni, egli stipula per così dire un contratto con il lettore, sulla base del quale egli può e deve essere poi anche giudicato. Se il giudizio risulta però negativo, perché il romanzo, come è il caso dell’opera in questione, non si limita a fornire una visione parziale e perciò anche discutibile dei fatti storici, ma li stravolge completamente, per ignoranza o in seguito a una precisa strategia, allora viene meno anche il suo valore estetico.
Probabilmente si è ritenuto dunque che questo romanzo potesse servire a gettare un po’ di luce su una tematica ancora troppo poco nota in Italia qual è la storia del Sudtirolo durante il fascismo e il nazionalsocialismo. In realtà, tuttavia, il fatto stesso che un romanzo che contiene tante inesattezze e distorsioni storiche sia stato tradotto in italiano e pubblicato, rappresenta al contrario la conferma più lampante proprio di questa mancanza di conoscenza.