SALTO: A latere dell’intervista parlavamo della mostra fotografica del trentino Flavio Faganello. Che significato hanno per lei quelle immagini?
Alberto Stenico: Sono di una poesia unica. Nessuno prima aveva mostrato così la vita dei contadini, fotograficamente. Faganello per la prima volta fece emergere l’idea di una regione culturale unica. I vecchi contadini non volevano che la loro faccia finisse chissà dove. Quella era la miseria. In una generazione soltanto siamo passati da lì a un benessere impensabile. Mio nonno aveva il gabinetto giù in fondo al campo con una saponetta sola: questa crescita è avvenuta in una generazione.
Anche la sua famiglia era autonomista?
Nella mia famiglia c’è sempre stato un grande rispetto per la popolazione del luogo. Chi arrivava, se aveva un’origine contadina come nel nostro caso, nutriva ammirazione per chi abitava qui, per la conoscenza “multitasking” del maso. Nessuno avrebbe detto “quei baccani”, come si diceva nella più urbana Bolzano.
Lei ha appena ricevuto un importante riconoscimento, la Croce al merito del Land Tirol. Per una persona di lingua italiana è ancora una sorpresa essere premiati?
Sei come un bianco nel movimento di Mandela. Ho un buon rapporto con molte persone di lingua tedesca. Uno dei gradini della mia crescita è stato “mettermi in proprio”, cercare i rapporti nella società sudtirolese non mediati attraverso la politica italiana.
Oggi però anche la politica italiana è tutta autonomista.
Vero. Alessandro Urzì e Arno Kompatscher insieme che difendono Sinner: se si pensa che vent’anni fa Urzì faceva il referendum su Piazza Vittoria… Ma per non tornare indietro, serve una certa cura nel mantenere il sistema di relazioni e le regole di fondo. I fondamentali ereditati: siamo in Italia, quindi no all’autodeterminazione, ma consapevoli dell’assetto ovvero del regime autonomistico, garantendo reciprocamente i diritti delle due culture che sono molto diverse.
Lei ha seguito da vicino la Convenzione per l’autonomia. Perché fallì?
La Convenzione è fallita perché la società non era più avanti della politica, come si pensava. Ci andarono soprattutto persone di lingua tedesca, mentre gli italiani erano pochi. Le premesse erano corrette politicamente, le conclusioni accettabili, ma una vera sintesi finale non c’è stata. È stata comunque una lezione: i gol in fuorigioco non ti fanno vincere la partita. Io sono per l’autogestione: decidere e poi prendersi la responsabilità.
E la riforma attualmente in discussione?
Sono positivamente sorpreso. È quasi paradossale che un governo nazionalista e centralista ripristini e anzi rafforzi le competenze dell’autonomia locale. Questo dimostra che gli schemi ideologici destra e sinistra contano meno del rapporto tra Statale e locale. E anche in Alto Adige non ci sono differenze così radicali tra le aspirazioni della centrodestra e quelle del centrosinistra. Il partito di raccolta cristiano-sociale considera l’Italia uno Stato straniero e tratta con chi comanda. Vale oggi come valeva con Pierluigi Bersani quand’era ministro, se si pensa che concesse i nostri pozzi petroliferi, ovvero le centrali idroelettriche…
Cosa pensa del primo sindaco di centrodestra a Bolzano?
È un cambiamento storico. Era indispensabile rappresentare gli italiani, superando una conventio ad excludendum che ha impigrito il centrosinistra, che governava la città dagli anni Settanta. I bolzanini sono diventati vittimisti, una valle di lacrime incarognita dalla sfiducia per la mancanza di rappresentanza e l’incontendibilità. Non si passa dalla democrazia al fascismo: è una coalizione più pragmatica che politica, con Corrarati che è un autonomista e rappresenta la “pasta” della città. E parla tedesco in modo sciolto, da buon artigiano.
La Volkspartei resta centrale o sta esaurendo il suo ruolo?
La SVP è in difficoltà come partito “etnico” di raccolta, tranne nei momenti di emergenza. Ma mantiene una certa elasticità, e continua ad avere un centinaio di sindaci su 116 comuni. La società è cambiata, ma mi auguro che i sudtirolesi continuino ad avere un’unica rappresentanza, un portavoce territoriale a Roma, quello che manca ai palestinesi. Io auspicavo che ci fosse anche una rappresentanza territoriale italiana, ma ho perso ogni speranza. Per i partiti italiani l’accreditamento politico, in ultima istanza, arriva sempre da Roma. Dovrebbero anche loro “mettersi in proprio” invece faticano ad avere un ruolo. Questo c’entra con la conoscenza della lingua come dell’altro contesto – e il non disprezzarlo.
Non lo definerei visionario,…
Non lo definerei visionario, Alberto Stenico, ma semplicemente realistico. Le sue sono idee, valutazioni e convinzioni politiche pienamente condivisibili. Merita stima, come da parte mia la ha sempre avuta.
Ci sono tante affermazioni, …
Ci sono tante affermazioni, alcune le condivido altre meno. Però una cosa la voglio sottolineare:
"In centro c’era una sezione intera della classe lavoratrice, centinaia di operai, e non li ha mai intervistati nessuno. "
Un pugno in faccia al giornalismo, al giornalismo locale, Salto compreso.
Quanta gente non ha voce in questa terra? E quanta invece ne ha troppa?
P.s. io votai sì al referendum su Benko anche per quelle persone.
Antwort auf Ci sono tante affermazioni, … von Massimo Mollica
P.s. ultimo pensiero per il…
P.s. ultimo pensiero per il Sig. Stenico. Se lo spazio va ripensato, se pure l' industria si trasforma. Anche il mondo contadino deve cambiare.